LE FORME DI PRODUZIONE SUCCESSIVE

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NELLA TEORIA MARXISTA . 1960 - 1980
arteideologia raccolta supplementi
made n.19 Giugno 2020
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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FORMA QUATERNARIA . CAPITOLO 5 . 2

4. DIVENIRE DELLA LEGGE DEL VALORE

Meccanismo della svalorizzazione

La legge capitalistica del valore nasce da una mutazione carica di contraddizioni. Mentre lo scambio tra equivalenti presupponeva la proprietà del lavoro, dal momento che  il produttore si appropriava i prodotti in funzione del proprio lavoro, lo scambio capitalistico tra equivalenti implica tempo di  lavoro extra, sopralavoro non pagato, dunque plusvalore.  Lo scambio basato sulla proprietà del lavoratore  si trasforma così nel suo opposto e diviene appropriazione di lavoro altrui senza scambio né equivalente, mentre il lavoro si aliena e diviene proprietà del capitale nel processo lavorativo, attraverso cui si manifesta la non-proprietà del lavoro in quanto lavoro salariato.
Sotto il capitalismo, la legge del valore, ossia lo scambio di lavoro contro lavoro secondo il principio di equivalenza, riposa dunque sull'assenza di proprietà del lavoro, sul dominio e lo sfruttamento di esso ad opera del capitale mediante l'estorsione di un plusvalore.
Il campione dell'ora di lavoro racchiude inoltre una contraddizione immanente: il capitale si svalorizza proporzionalmente all'aumento della produttività del lavoro orario, che serve di misura al valore della merce. E proprio l'accrescimento delle forze produttive è la tendenza inarrestabile del capitale, essendo esso, per definizione, ricerca di plusvalore.
Poiché i capitalisti sono sempre in concorrenza sul mercato, l'unico mezzo di prevalere e di accaparrarsi i clienti è per ciascuno quello di vendere la propria merce più a buon mercato dei concorrenti. E per non intaccare il plusvalore l'unica soluzione è di abbassare i salari. Per far questo o per far lavorare di più l'operaio, si fa leva sulla produttività del lavoro. Aumentando questa produttività (ad esempio utilizzando la forza motrice dell'acqua o del vento), in un'ora si produce di più con la stessa spesa di capitale variabile, Marx riprende, per dimostrarlo, un testo fornito dallo stesso Ricardo:
Se si scopre che, utilizzando il vento o l'acqua, si può far girare un mulino col lavoro di un solo uomo dove prima ne occorrevano dieci, il valore della farina prodotta diminuirà proporzionalmente al lavoro risparmiato.

Così dunque, per aumentare o conservare il plusvalore senza far diminuire il capitale variabile, non esiste altro mezzo che produrre di più, accrescendo la produttività o le forze produttive del lavoro. Ma il valore di scambio del prodotto diminuisce proporzionalmente all'aumento delle forza produttive: conformemente alla legge del valore-lavoro, un numero doppio di articoli ha oggi quasi la metà del valore se la loro produzione ha assorbito lo stesso lavoro. La nuova produttività svalorizza dunque i prodotti creati con un lavoro minore, non solo rispetto al passato, ma anche per tutti i capitali attuali e futuri all'interno come all'esterno. Marx calcola la svalorizzazione del capitale intervenuta nonostante l'accrescimento del saggio di plusvalore o di sfruttamento (ottenuto dalla relazione tra plusvalore e salario ovvero tra sopralavoro e lavoro necessario) come segue: "Se il lavoro necessario è uguale a 1/4 della giornata fornita dal lavoro vivo e la forza produttiva si raddoppia, il valore del capitale non cresce del doppio, bensì soltanto di 1/8, che si ottiene dividendo per 2 la frazione precedente della giornata lavorativa che rappresenta il lavoro necessario, ossia 1/4 o 2/8" [1]. In altri termini, il valore del capitale aumenta in proporzione assai minore rispetto alle forze produttive – il che riflette il non superato antagonismo tra capitale e forze produttive, ossia l'opposizione tra lo sviluppo gigantesco di queste ultime e l'angusta forma di distribuzione, tra il carattere sociale della produzione capitalistica e il suo modo d'appropriazione privato.
Ecco il meccanismo attraverso il quale il capitale tende incessantemente ad accrescere la sua produttività, al fine di intascare un sovrapprofitto che tuttavia non può essere che transitorio, poiché cessa di esistere i concorrenti capitalisti hanno raggiunto lo stesso livello di produttività, tanto che il prezzo corrente di mercato (valore) in generale si abbassa, determinando come conseguenza una corrispondente svalorizzazione del capitale. Supponendo che il tasso di plusvalore o tasso di sfruttamento della forza lavoro sia costante, e sia del 100%, "è solo nei rami di produzione in cui, poniamo, la composizione del capitale è 80c + 20v, che il capitale anticipato + 20 coincide col valore (sia il prezzo corrente di mercato 120). Nei casi in cui la composizione organica sia più elevata (per esempio 90c + 10v) questo prezzo corrente sta al di sopra del valore ottenuto (cioè 110, il che permette un sovraprofitto). Inversamente, è al di sotto del valore ottenuto, se la composizione organica è inferiore, per esempio 70c + 30v, ossia 130 in tutto" (Cf. Marx a Engels, 30.4.1868).
Allorquando i concorrenti raggiungono il livello di produttività del capitalista più produttivo, il prezzo corrente di mercato (ossia il valore) si conforma alla composizione organica del primo, e il prezzo corrente si abbassa da 120 a 110, con una svalorizzazione di 10.
All'inizio del ciclo di produzione capitalistica che Marx chiama fase di sottomissione formale del lavoro al capitale, l'estorsione di plusvalore verte direttamente sul capitale variabile, poiché la giornata lavorativa si allunga al massimo mentre gonfia incessantemente il numero degli operai proletarizzati; è la fase dell'estorsione di plusvalore assoluto a differenza della fase dell'estorsione di plusvalore relativo, che interverrà, a uno stadio ulteriore di sviluppo del capitalismo, per una variazione nella composizione organica del capitale, ossia nel rapporto del capitale costante e variabile col plusvalore [2].

Mezzi per accrescere la produttività

Il capitale ha fin dall'inizio la tendenza inarrestabile a svilupparsi e a crescere, estorcendo sempre maggior plusvalore. Ma, non potendo farlo gravando ancora di più sui salari già insufficienti, è costretto a sviluppare, in una maniera o nell'altra, la produttività del lavoro, adempiendo così alla sua funzione storica di accrescere le forze produttive – il che porta a svalorizzare il capitale stesso.
Consideriamo ora i mezzi con cui il capitale estorce maggior plusvalore nel corso della sua prima fase di sviluppo – quella della sottomissione formale del lavoro al capitale, allorché, non disponendo ancora di macchine, organizza nella manifattura le forze lavoro vive associandole, il che permette una più razionale divisione del lavoro, in altre parole un aumento della produttività. Il capitale, che è fin dall'inizio una forza sociale concentrata, combina dunque il processo di lavoro al fine di dargli un carattere socializzato in opposizione all'appropriazione privata nella distribuzione. Esso sviluppa in questo modo l'antagonismo tra la socializzazione della produzione capitalistica e il suo modo di ripartizione o di scambio privato, e questo per accrescere la produttività che da un sovrapprofitto transitorio al capitalista che l'ha introdotto, prima di provocare una svalorizzazione corrispondente del capitale quando i concorrenti applicano la stessa innovazione. Vediamo rapidamente quale è il processo all'inizio del capitalismo:

Come è noto, la semplice coperazione [3], o associazione di molti lavoratori concentrati in uno stesso luogo per lo stesso scopo accresceva considerevolmente la loro forza produttiva, e Marx sottolinea che non solo questa collaborazione non è costata nulla al capitalista, ma ha aumentato considerevolmente a suo profitto la produttività del lavoro, dunque anche il plusvalore in rapporto agli altri suoi concorrenti. Proprio all'inizio del capitalismo l'effetto della cooperazione è più grande: Quanto più la produzione è basata sul semplice lavoro manuale e sullo sforzo muscolare dell'individuo, tanto più l'aumento delle forze produttive è legato alla cooperazione di massa di lavoratori [4]. Il lavoro dell'individuo cessa di essere produttivo fuori del lavoro collettivo; questa elevazione del lavoro immediato a lavoro sociale mostra che il lavoro isolato è ridotto in stato d'impotenza di fronte alle forze collettive e generali che il capitale rappresenta e concentra" (p.711).

Lo stesso aumento della popolazione agisce come la cooperazione: accresce la forza produttiva del lavoro in quanto rende possibile una maggiore divisione e una maggiore cooperazione del lavoro. L'aumento della popolazione è una forza naturale del lavoro che il capitale non paga (la trova oggi gratis nei paesi sottosviluppati) e a questo livello la forza naturale è una forza sociale storica (p. 366).
A  questo  primo  stadio  del  capitale,  l'associazione   dei lavoratori, l'aumento naturale della popolazione, la cooperazione e la divisione del lavoro sono condizioni fondamentali dell'aumento della produttività del lavoro allo stesso  titolo  di tutte le forze produttive  che  determinano l'intensità e l'estensione pratica del lavoro, e si presentano come forze produttive del capitale, essendo incorporate in esso. Ormai la forza collettiva e il carattere sociale del lavoro divengono la forza collettiva del capitale. Lo stesso vale per la scienza, per la divisione del lavoro e per lo scambio presupposto da questa divisione dei compiti. L'associazione dei lavoratori è non il loro modo di esistenza, ma il modo di esistenza del capitale.
Insomma, i caratteri sociali del lavoro appaiono agli operai come se fossero capitalizzati di fronte a loro e dominano il lavoro, distaccandosi dall'arte e dal sapere dell'operaio singolo, il cui lavoro diviene sempre più semplice, degradandosi in rapporto all'abilità dell'artigiano del medioevo. In realtà, tutte queste applicazioni – fondate sul lavoro associato – della scienza, delle forze della natura e dei prodotti del lavoro in grandi masse non appaiono se non come mezzi di sfruttamento del lavoro e di appropriazione di sopralavoro, e quindi come forze appartenenti in sé al capitale [5].
All'inizio del capitalismo, la borghesia cerca innanzitutto di accrescere il valore di scambio, ed è solo socializzando il processo di lavoro ch'essa svalorizza il capitale. Essa aumenta in due modi il numero delle ore di lavoro che sono la fonte del valore: allungando la giornata lavorativa fino all'estremo limite fisico dell'operaio, e aumentando il numero degli operai che fanno giornate lavorative così lunghe. Giusta Marx, la crescita della popolazione è una forza produttiva gratuita al servizio dei capitalisti. In realtà, è solo in un secondo stadio di sviluppo del capitale – con l'applicazione della scienza e delle macchine al processo di produzione – che la produttività aumenterà al massimo, e con essa la svalorizzazione del capitale [6]. Questo estorce allora essenzialmente non più il plusvalore assoluto, ma relativo, diminuendo la parte del salario e del tempo di lavoro necessario a produrre un determinato articolo, il che comporta un correlativo aumento del plusvalore grazie all'intensificazione del processo lavorativo o all'accrescimento della produttività.
Col macchinismo, il capitale tende a svalorizzarsi rapidamente: il capitale non aumenta più molto la quantità assoluta del tempo di lavoro, ma al contrario ha una tendenza ineluttabile a diminuirla relativamente, accrescendo le forze produttive. Ciò facendo, diminuisce i propri costi di produzione, cioè il suo valore di scambio, in rapporto alla somma di merci anticipata:
Una parte di capitale esistente si svalorizza incessantemente perché i costi di produzione ai quali può essere riprodotto sono minori. A diminuire non è il lavoro materializzato in esso, ma il lavoro vivo necessario alla produzione di un determinato articolo [7].
Del resto – come sappiamo – è sempre il lavoro vivente che è determinante per il valore di scambio.
A questo punto le cose per il capitale si complicano: Quanto più è già ridotta la frazione riguardante il lavoro necessario, quanto maggiore è il sopralavoro, tanto meno un qualsiasi incremento della forza produttiva può diminuire il lavoro necessario, giacché il denominatore della frazione è enormemente aumentato. L'autovalorizzazione del capitale è tanto più difficile quanto più essa ha già raggiunto grandi proporzioni (p. 296).

Svalorizzazione e distruzione di capitale

Dalla svalorizzazione della forza lavoro, che può derivare tanto dall'aumento delle forze produttive (con una diminuzione generale dei prezzi in periodo di prosperità) quanto dal deprezzamento generale dei prezzi nel corso delle crisi di sovraproduzione, Marx trae fondamentali conclusioni per gli operai: In periodo di crisi, il movimento si accelera e si verifica una svalorizzazione generale che è nello stesso tempo DISTRUZIONE DI CAPITALE. Così dunque, un improvviso sviluppo generale delle forze produttive svalorizza relativamente tutti i valori esistenti che sono stati prodotti allo stadio anteriore delle forze produttive del lavoro, e distrugge sia il capitale che la forza lavoro esistente. La svalorizzazione, a differenza del deprezzamento, può essere generale, assoluta, e non semplicemente relativa, in quanto verte sul valore, il quale non esprime semplicemente il rapporto tra una merce e un'altra, bensì il rapporto tra il prezzo della merce e il lavoro in essa oggettivato, o il rapporto tra una quantità di lavoro oggettivato della stessa qualità e un'altra quantità. Nel corso della crisi (giacché questo movimento sfocia nelle crisi economiche del capitale), la svalorizzazione colpisce la stessa forza lavoro viva (come si vede dopo ogni guerra che distrugge la sovrapproduzione e svalorizza il lavoro, il quale attende alla ricostruzione del capitale a un nuovo livello tecnico di sviluppo) [8].
La crisi provoca una diminuzione reale della produzione e del lavoro vivo, allo scopo di ristabilire la giusta proporzione tra lavoro necessario e sopralavoro, su cui si fonda in ultima istanza tutta la produzione capitalistica (p. 421-422).

Caduta tendenziale del saggio di profitto

Per svalorizzare, anzi per evincere la forza lavoro viva, fonte di ogni valore di scambio, ossia per svalorizzare in ultima istanza lo stesso capitale, esso adopera un nuovo mezzo potente e irresistibile sviluppando il macchinismo in vista di rimpiazzare gli operai nel processo di produzione.
La meccanizzazione si sviluppa evidentemente incorporando una forza sociale nuova – la scienza che non costa nulla allorché funziona come tecnica, procedimento meccanico o chimico per accrescere la forza produttiva del lavoro; essa diminuisce dunque, alla fine, il valore di scambio del capitale generale. Con l'applicazione della scienza, si raggiunge il pieno sviluppo delle forze produttive del capitale e si passa allo stadio della sottomissione reale del lavoro al capitale, poiché questo ha assunto la forma adeguata nelle macchine e nel sistema del macchinismo. Appunto utilizzando la scienza e le macchine il capitale diviene veramente se stesso, e accresce al più alto grado la produttività: Ma la produttività del lavoro significa il massimo di prodotti col minimo di lavoro in essi contenuto, in altre parole merci il più possibile a buon mercato. Nel modo di produzione capitalistico, ciò diventa legge indipendentemente dalla volontà del capitalista [9]. Questa tendenza coincide con la svalorizzazione generale del capitale che entra in conflitto con la ricerca del massimo di lavoro non pagato, sicché l'intero sistema entra in crisi.
Questa legge, prosegue Marx, si traduce nella seguente alternativa per il capitalista: se produce su scala troppo ridotta (capitale troppo piccolo) incorpora nei prodotti una quantità di lavoro superiore alla media sociale, e non riuscendo più a vendere i suoi prodotti, si rovina; se il capitalista singolo tende ad abbassare il valore di ogni merce al di sotto del suo valore socialmente stabilito, svalorizza sempre più il capitale.
L'incremento massimo del saggio di plusvalore che il capitalista singolo irresistibilmente ricerca, conduce infine a una caduta fatale del saggio di profitto che mette in crisi il sistema capitalistico e lo arresta momentaneamente. È d'uopo soffermarsi sull'apparente paradosso, fonte di innumerevoli qui pro quo, tra aumento del saggio di plusvalore e caduta del correlativo saggio di profitto.
Come abbiamo detto, il saggio di plusvalore corrisponde al rapporto tra sopralavoro e lavoro necessario, o plusvalore e capitale variabile (salari). Ora, nel corso dell'evoluzione, la parte del plusvalore aumenta incessantemente con lo sfruttamento crescente della forza lavoro [10].
Quando diciamo che il saggio di profitto tende a diminuire, non diciamo che diminuisce la massa del profitto, cioè il suo volume; questo può al contrario aumentare mentre il saggio (che è un rapporto) decresce. La massa dei profitti in realtà aumenta sempre, malgrado la caduta del saggio, ma è proprio questa caduta che alla fine impedirà al capitale di potersi riprodurre.
La tesi di Stalin che il capitale ricerca il massimo profitto, oltre a seminare confusione, è una falsità bella e buona quando nega la progressiva diminuzione del saggio di profitto.
Quest'ultimo è, in Marx, il rapporto del profitto con la totalità del prodotto, ossia è proporzionale al tasso di accumulazione. Non si deve dunque rapportarlo al valore reale o nominale degli strumenti di produzione (installazioni dell'impresa produttrice), qualificato come patrimonio o capitale d'impresa. Si definisce il saggio di plusvalore come il rapporto plusvalore / salario, e il saggio di profitto il rapporto plusvalore / capitale costante + variabile.
Se il valore del prodotto è presunto 120, il profitto è 20, e tanto il plusvalore. Ma mentre il saggio del profitto è 20% (utile 20 su anticipo 100), il saggio di plusvalore è 100% (20 di utile su 20 di salario). Man mano che il capitale si concentra in un numero minore di aziende, la cresciuta massa di profitto si divide tra un numero sempre minore di aziende. Ogni azienda intasca quindi una massa più grande di utile, malgrado la caduta del saggio di profitto.
Questa caduta del saggio di profitto costringerà il capitale ad accrescere continuamente la massa del capitale, la massa dei prodotti e dunque la massa del profitto per compensare la caduta fatale del saggio di profitto. Da ciò segue quindi: aumento della produzione, diminuzione del numero delle imprese, aumento del capitale medio di ogni impresa, aumento della massa totale dei profitti, ma quest'ultimo meno veloce dell'aumento della produzione – e del consumo sociale per tutti i campi – tutto ciò accompagnato dalla discesa del saggio di profitto medio.
La legge della caduta del saggio di profitto si fonda sul processo storico generale, da nessuno negato, da tutti apologizzato, che con l'applicazione al lavoro manuale di sempre più complessi strumenti, utensili, macchine, dispositivi, risorse tecniche e scientifiche sempre più molteplici, ne cresce in modo incessante la produttività, con l'effetto che per una data massa di prodotti occorrono sempre meno operai e lavoro.
Nel capitale che si deve investire per riprodurre quella data massa di prodotti, si modifica di continuo ciò che Marx dice la composizione organica: contiene sempre più capitale per comperare le materie, e sempre meno capitale salari, poiché le macchine e l'aumentata produzione permettono al lavoro di trasformare una massa crescente di materie prime, cioè di sfornare una quantità sempre maggiore di prodotti. Il saggio di profitto scenderà sempre, in quanto si rapporta al capitale totale che non cessa di gonfiare.
Vediamo come l'aumento del saggio di plusvalore può coincidere con l'abbassamento del saggio di profitto. Anche ammesso che il capitale, come spesso avviene, aumenti lo sfruttamento, cioè aumenti il saggio di plusvalore, il plusvalore e profitto ritratto aumenteranno, ma dato il molto maggiore aumento della massa di materie comprate e lavorate traverso quel solo impiego di manodopera, il saggio di profitto continuerà a scendere, e può scendere fino a che il capitale non può più riprodursi.
Proprio quella discesa del saggio di profitto spinge il capitale a continuare ad investire per accrescere la massa del profitto producendo di più. La stessa ricerca del massimo profitto rende inesorabile la discesa del suo saggio.
La recente crisi del 1975 ha dimostrato l'esattezza dell'analisi di dettaglio di Marx: un elemento determinante dell'elevamento dei costi di produzione e della conseguente catastrofica caduta del saggio di profitto sociale medio non è stato una variazione dei salari, ma il rincaro delle materia prime, dall'energia ai tessili, cuoio, zucchero ecc. ecc. che hanno appesantito insopportabilmente i costi, suscitando l'inflazione generale che provoca la chiusura del mercato e porta, nel momento acuto della crisi, alla caduta catastrofica dei prezzi e all'arresto della produzione [11].
Scrive Marx: la materia prima costituisce un elemento essenziale del capitale costante. Se il suo prezzo diminuisce, il saggio di profitto aumenta, Inversamente, se il prezzo delle materie prime aumenta, il saggio di profitto decresce. Da ciò risulta evidente quanta importanza abbia per i paesi industriali il basso prezzo delle materie prime [12].
Il gigantesco accrescimento del macchinismo, che ha soppiantato la forza lavoro viva, è la causa essenziale del fortissimo incremento di produttività, poiché esige la trasformazione di un'enorme quantità di materie prime, fonte della discesa del saggio medio di profitto.
Il capitale non può dunque sviluppare indefinitamente le forza produttive. Marx cita quattro punti che sono altrettanti ostacoli che il capitale tende incessantemente e irresistibilmente a superare nel suo sviluppo e che sono fonte della sua svalorizzazione. Essi sembrano insignificanti, ma indicano di volta in volta il limite che il capitale raggiunge e furiosamente cerca di superare.
Il capitale tende in generale a non tener conto:
1. del lavoro necessario, limite del valore di scambio della forza lavoro viva;
2. del plusvalore che rappresenta il limite del sopralavoro e dello sviluppo possibile delle forzo produttive;
3. del denaro che è un freno per la produzione;
4. delle limitazioni della produzione di valori d'uso dovute al valore di scambio (per il capitale solo la domanda solvibile è una domanda).
La sovrapproduzione ricorda bruscamente al capitale che tutti questi elementi sono necessari alla sua produzione, perché è questa dimenticanza che ha provocato una sua svalorizzazione generale. Quest'ultimo è dunque obbligato a ricominciare da capo il suo tentativo, ma (dopo la crisi) a partire da uno stadio sempre più elevato di sviluppo delle forze produttive, e con in prospettiva di un crollo sempre più grave [13].
Il capitale non può aumentare all'infinito le forze produttive, giacché esso ostacola il suo stesso sviluppo, e sarà soltanto il comunismo a poter spazzare via tutti questi limiti:

La legge della produttività crescente del lavoro non ha per il capitale un valore assoluto. Per esso, come messo in rilievo nel Libro I del Capitale a proposito del valore trasmesso dalla macchina al prodotto, si ha accrescimento di produttività non quando si realizza un risparmio del lavoro vivo con l'introduzione di nuove macchine, ma unicamente quando il risparmio della parte di lavoro vivo pagata è superiore all'aumento del lavoro passato. Il modo capitalistico di produzione trova qui un limite e cade in una nuova contraddizione (benché il macchinismo cessi di porre il lavoro vivo come fonte della ricchezza e del valore sostituendosi ad esso, la legge del valore continua a considerarlo tale e, con il macchinismo più sviluppato, costringe l'operaio a lavorare più a lungo). La sua missione storica è lo sviluppo brutale e in progressione geometrica della produttività del lavoro umano. Esso tradisce questa missione quando, come qui, pone degli ostacoli allo sviluppo della produttività. Con ciò dimostra, ancora una volta, di essere entrato nella sua fase senile e di sopravvivere sempre più a se stesso. [14]
Dialettica dell'abolizione della legge del valore

È solo nella seconda fase capitalista, quella della sottomissione reale del lavoro al capitale, che quest'ultimo assume la forma adeguata al suo sfruttamento: il macchinismo. Esso acquista allora una forma materiale, fisica e tangibile di fronte al lavoro vivo dell'operaio, e si dispone a trasformare il più possibile di lavoro vivo in capitale fisso, in macchine che succhiano lavoro vivo.
Marx nota a tale proposito che pur trovando il capitale la sua forma adeguata nel macchinismo, non ne consegue che la subordinazione delle macchine ai rapporti capitalistici rappresenti il modo di produzione più adeguato e migliore per l'utilizzazione delle macchine stesse [15]. Infatti il capitale trova un'intralcio nello stesso sviluppo delle macchine, che sono una forza gratuita del lavoro delle generazioni passate, poiché la fondamentale legge capitalista fa derivare il valore e la ricchezza dal tempo di lavoro vivo. Inoltre, il capitale stesso non può utilizzare le macchine che in misura limitata: le introduce unicamente se esse permettono all'operaio di consacrargli una parte maggiore del suo tempo, se fanno lavorare l'operaio più a lungo per il capitalista e meno per sé, in altre parole se permettono di estorcere maggior plusvalore. Tale barriera allo sviluppo del macchinismo è il prodotto stesso del capitalismo ed indica che esso è un modo di produzione limitato, dunque transitorio. Essa sarà perciò abolita dal socialismo. Questo ostacolo, che lo stesso capitale pone all'introduzione sistematica delle macchine, si osserva chiaramente nella concorrenza che oppone i pochi paesi avanzati, che hanno monopolizzato le macchine accumulate in un processo mondiale, ai paesi sottosviluppati, incapaci di alzarsi al livello tecnologico delle metropoli bianche di vecchio capitalismo. Insomma, Marx afferma che il capitale è una forma di produzione limitata che entra in urto con la sua stessa tendenza ad essere illimitato, perché incontra dei limiti nell'assorbimento del lavoro vivo nel suo corpo materiale, il capitale fisso (macchine, installazioni produttive, ecc.).
Vedremo adesso come nel corso del suo sviluppo il capitale tenda ad autoabolirsi. All'inizio il lavoro vivo, fonte della ricchezza, è il campione, la misura del valore di scambio. Questo valore di scambio, sotto il capitale, trova la sua forma adeguata nelle  macchine  che  succhiano il lavoro vivo per trasformarlo in capitale morto, sotto forma di capitale fisso.
L'accumulazione del sapere, dell'abilità, così come di tutte le forze produttive generali del cervello sociale – forze produttive gratuite – è in tal modo assorbita nel capitale che si contrappone al lavoro: essa si presenta ormai come una proprietà del capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo di lavoro come un mezzo di produzione effettivo.
La produzione in grande serie che risulta dall'intervento massiccio delle macchine o dall'efficacia crescente del capitale fisso nel processo di lavoro, sconvolge il calcolo del valore della merce in regime capitalista. Non è più possibile determinare le spese di produzione o il valore per unità di merce, ma solo per grandi medie. Lo stesso calcolo del salario diviene assurdo, dato che risulta impossibile stabilire quale è la parte individuale dell'operaio nella produzione della merce o meglio della massa di merci. Il lavoratore non è più che un elemento componente la fabbrica, poiché innumeri lavoratori collaborano a un medesimo compito per produrre un certo articolo.
Nel VI capitolo inedito del Capitale, Marx analizza le fatali contraddizioni della determinazione del valore delle merci-capitale nel capitolo Le merci come prodotto del capitale.
Questo movimento di determinazione del valore a partire dalla media sociale, è un primo passo verso il rovesciamento  della legge  del valore attraverso il tempo di lavoro. D'ora in poi il capitale fisso PRETENDE essere esso stesso il campione del valore:
Siccome il macchinismo si sviluppa con l'accumulazione della scienza sociale – forza produttiva generale –, non è nel lavoro, ma nel capitale che si esprime il lavoro sociale generale. La produttività della società si commisura secondo il capitale fisso che ne è la materializzazione. Ma, a sua volta, la forza produttiva del capitale si sviluppa grazie a questo progresso generale che il capitale si appropria gratis. Marx qualifica il capitale fisso come inghiottitoio delle forze produttive gratuite, cioè causa efficiente della svalorizzazione massiccia del capitale.
Ma proseguiamo: "Qui lo sviluppo del macchinismo non va esaminato in dettaglio. È sufficiente considerare gli aspetti generali e mettere in evidenza che, dal punto di vista fisico, il mezzo di lavoro perde la sua forma immediata con il capitale fisso, in cui il capitale appare come tale, in maniera tangibile contrapposto all'operaio. La scienza si manifesta quindi nelle macchine come estranea ed esterna all'operaio. Il lavoro vivo si presenta subordinato al lavoro materializzato che opera in modo autonomo. Da questo momento, l'operaio diventa superfluo nella misura in cui la sua azione non è condizionata dal bisogno del capitale" (ibid.). >

Il lavoro di Kazimir Malevic
Al pari dell'operaio divenuto superfluo, anche il tempo di lavoro vivo come campione del valore e della ricchezza cessa di funzionare. Certo, il capitale pretende di essere esso stesso la misura del valore e della ricchezza, dal momento che prevale massivamente nel capitale fisso contrapposto al lavoro vivo divenuto derisorio, ma non può cambiare la sua legge fondamentale, non può che dissolverla e distruggerla e, con essa, se stesso.
Ma lasciamo concludere Marx: "Ma il tempo di lavoro – semplice quantità dì lavoro – è per il capitale il principio determinante della produzione. Ora – con il macchinismo e l'automazione – il lavoro immediato e la sua quantità cessano di essere i principi determinanti della produzione, e dunque della creazione dei valori d'uso. Infatti esso è ridotto, quantitativamente, a una proporzione esigua, e, qualitativamente, ad un ruolo certamente indispensabile, ma subalterno rispetto all'attività scientifica generale, all'applicazione tecnologica delle scienze naturali e alla forza produttiva derivante dall'organizzazione sociale nella produzione complessiva – altrettanti doni naturali del lavoro sociale, ancorché si tratti di prodotti storici. È così che il capitale – in quanto forza dominante della produzione – opera esso stesso alla propria dissoluzione.
Dal momento che il processo lavorativo è un processo scientifico che si assoggetta le forze della natura e le fa agire al servizio dei bisogni umani, il processo di produzione si trasforma e diviene una proprietà inerente al capitale fisso, in opposizione al lavoro vivo.
Il lavoro immediato è così promosso al rango di lavoro sociale, e questa promozione dimostra che il lavoro isolato è ridotto all'impotenza in confronto a ciò che il capitale rappresenta concentrando forze produttive e generali. Ormai, il lavoro individuale cessa, in generale, di apparire come produttivo" (ibid.).
Insomma, Marx descrive qui perfettamente la dialettica dell'abolizione della legge fondamentale del capitalismo, quella del valore-lavoro.
Eccone la tesi o affermazione, l'antitesi o negazione, e la sintesi o superamento e abolizione delle due precedenti tesi e antitesi:
1. Il capitale implica il lavoro vivo come metro del valore della ricchezza sociale;
2. siccome esso riduce incessantemente il lavoro necessario per liberare sopralavoro al fine di incorporarlo al capitale fisso, quest'ultimo si gonfia a dismisura e non cessa di assorbire lavoro vivo per trasformarlo in capitale morto, sicché il capitale fisso pretende essere ormai la misura del valore e nega che il lavoro vivo necessario è il metro della ricchezza;
3. questa doppia opposizione dà una nuova sintesi: il tempo libero incorporato sotto forma di sopralavoro nel capitale fisso accresce a tal punto la produttività che il tempo di lavoro necessario diviene un elemento derisorio della creazione della ricchezza, il capitale crolla, e i produttori si appropriano il tempo libero da essi stessi creato, ed è il tempo libero che permette ormai uno sviluppo senza limiti delle forze produttive umane finora schiacciate e alienate dal capitale morto.
Consideriamo ora questa nuova forma di misura della ricchezza.

Lo sviluppo della forma nuova del comunismo

Ancora nel capitolo sull'Automazione dei Grundrisse, Marx trae le conclusioni dalla dissoluzione della legge del valore ad opera del capitale e specie del macchinismo, sistema coerente di macchine che soppianta il lavoro vivo e lo riduce ad un ruolo di sorveglianza subalterno e secondario, ossia che la legge del valore-lavoro crolla, e con essa il salariato, cioè il rapporto fondamentale del capitale:
Ma a misura che la grande industria si sviluppa, la creazione della ricchezza dipende sempre meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato, e sempre più dalla potenza degli agenti meccanici messi in moto durante il tempo di lavoro. L'enorme efficacia di questi agenti è, a sua volta, senza rapporto alcuno col lavoro vivo immediato che costa la loro produzione, ma dipende piuttosto dal livello generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall'applicazione di questa scienza alla produzione. [16]

E Marx esplicita come, per la dialettica del loro proprio sviluppo, gli stessi rapporti capitalistici fondamentali si neghino e suscitino dei rapporti che transcrescono [17] verso la superiore forma di produzione comunista, i cui criteri sono diametralmente opposti a quelli del capitalismo: In questa trasformazione non è né il tempo di lavoro impiegato né il lavoro immediato eseguito dall'uomo che si presentano come la colonna portante della produzione di ricchezza, bensì l'appropriazione della sua propria forza produttiva generale, la sua intelligenza della natura e la sua facoltà di dominarla in quanto si è costituito in corpo sociale. In una parola, lo sviluppo dell'INDIVIDUO SOCIALE rappresenta il fondamento essenziale della produzione e della ricchezza (p. 717).
Ma questo criterio non è altro che quello dell'armonizzazione tra produzione sociale e distribuzione sociale proprio della forma comunista, ossia un capovolgimento del criterio del valore-scambio. Come vedremo, l'individuo sociale presuppone uno sviluppo individuale corrispondente a quello di tutta la società, in "una associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti" (Manifesto), dopo che sono state soppresse le classi e il loro antagonismo insieme alla divisione del lavoro che fa dell'uno un meccanico, un manovale e dell'altro un esperto o un intellettuale che si appropria il sapere sociale. Sono stati cioè soppressi i mestieri, che assoggettando l'uomo ai bisogni e agli imperativi del capitale non combinano sapere e fare per il suo pieno e totale sviluppo.
Ma seguiamo le conclusioni di Marx:

Il furto del tempo di lavoro altrui su cui si basa la ricchezza attuale, si presenta come una base miserabile in rapporto ALLA NUOVA BASE CREATA E SVILUPPATA DALLA GRANDE INDUSTRIA STESSA.

Non appena il lavoro nella sua forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere LA SUA MISURA, e quindi il valore di scambio cessa e deve cessare di essere la misura del valore d'uso.
Il sopralavoro delle grandi masse ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi ha cessato dì essere condizione dello sviluppo delle forze generali del cervello umano (per sviluppare la scienza incorporata nelle macchine, ad esempio).
CON CIO' LA PRODUZIONE BASATA SUL VALORE DI SCAMBIO CROLLA, e il processo di produzione materiale immediato viene a perder esso stesso la sua forma meschina, miserabile e antagonistica (ibid.).
E Marx enuncia il criterio della società superiore che si sostituisce al capitalismo:

Ormai, la vera ricchezza è lo sviluppo della forza produttiva non più unilaterale ma generale di tutti gli individui. E allora NON È PIÙ IL TEMPO DI LAVORO, MA IL TEMPO DISPONIBILE (reso libero dalle macchine) CHE MISURA LA RICCHEZZA (p. 721).

La società cessa dunque di creare tempo disponibile da un lato per trasformarlo in sopralavoro dall'altro.
Finora il tempo di lavoro necessario è stato ridotto al minimo per creare tempo extra e imporre il sopralavoro alle masse, costrette a un lavoro sempre meno specializzato e reso sempre più abbruttente e mutilante dall'unilateralità dell'attività produttiva, mentre la classe dei non-lavoratori godeva del tempo libero per sviluppare la cultura e la scienza, che incorporate alle macchina dovevano servire ad estorcere ancora più sopralavoro.
Nella società superiore del comunismo, il risparmio di tempo dovuta all'applicazione della tecnica al processo di produzione permetterà lo sviluppo intellettuale e fisico di tutti, ciò che costituisce l'ultimo sviluppo possibili delle forze produttive:

Risparmiare tempo di lavoro significa accrescere il tempo libero, ossia il tempo che serve al pieno sviluppo dell'individuo, SVILUPPO CHE A SUA VOLTA REAGISCE COME MASSIMA FORZA PRODUTTIVA SULLA FORZA PRODUTTIVA DEL LAVORO (p. 725).

D'ora in poi, lungi dall'arrestarsi, lo sviluppo dell'umanità, anziché esigere delle rivoluzioni per dare alle forze produttive rapporti sociali adeguati al loro continuo progredire, procederà per evoluzioni.

Eliminazione degli ostacoli e limiti del capitale

La rivoluzione socialista, che introduce il superiore modo di produzione comunista, ha per compito essenziale lo scioglimento delle contraddizioni che ostacolano e bloccano lo sviluppo delle forze produttive sociali suscitate dalla forma capitalistica, eliminando l'appropriazione privata, non solo di individui, ma di gruppi, società e classi. Bisogna cominciare, perciò, col rovesciare lo Stato, ossia le sovrastrutture giuridiche, politiche, ideologiche, artistiche e filosofiche, che nelle società capitalistiche sviluppate occupano quasi un terzo della popolazione attiva (funzionari, insegnanti, militari, soldati, poliziotti, ideologi) e bloccano con la forza fisica e ideologica il passaggio al modo di produzione superiore.
Marx dice che l'estensione del lavoro produttivo a questi ceti oziosi permetterà di ridurre a un'ora e meno per tutti il lavoro necessario nella produzione e di aumentare il tempo libero atto a sviluppare l'uomo in tutti i sensi.
Nel Sesto capitolo inedito e nel Quarto libro del Capitale [18] Marx analizza tutto ciò che è lavoro parassitario, asociale o improduttivo che aumenta con la senilità crescente del capitale e le sue sempre maggiori difficoltà di funzionamento che ne derivano, gonfiando così le classi medie dedite a compiti che corrispondono alle false spese di funzionamento del capitale. Questo parassitismo sarà soppresso dalla rivoluzione socialista, la quale libererà nello stesso tempo innumerevoli attività umane e ricchezze dilapidate al servizio di funzioni inutili e addirittura dannose agli uomini e alla società. Così, una volta consolidatasi di fronte a ogni contrattacco del capitalismo, la società comunista potrà ad esempio sopprimere la prima e più importante industria della società attuale: quella dell'armamento e della guerra, che utilizza i mezzi tecnologici più avanzati a scopo distruttivo.
Al suo posto si potranno produrre delle macchine, che nelle condizioni capitalistiche non sono redditizie dato l'altissimo livello raggiunto dalla concentrazione del capitale in concorrenza nei paesi più sviluppati, per rifornire i paesi sottosviluppati che dispongono di una moltitudine di braccia oggi costrette all'inattività e all'impotenza.
Divenendo senile, il sistema capitalistico è costretto ad affidare a strutture sempre più schiaccianti il suo funzionamento e la sua sopravvivenza, aumentando enormemente le false spese di produzione e di circolazione e dilapidando o addirittura distruggendo le forze produttive e le ricchezze. Si potrebbe mettere a confronto settore per settore il prezzo sociale speso per effettuare un compito utile secondo la forma capitalista e secondo quella comunista per mettere in luce la diversa efficacia dei due sistemi di produzione a partire dall'attuale livello delle forze produttive umane.
Già Engels sottolineava che il compito primario dell'umanità è, ormai, di spezzare le pastoie capitalistiche che ostacolano il processo di produzione e di circolazione, eliminando al contempo lo spreco: L'appropriazione sociale dei mezzi di produzione elimina non soltanto l'ostacolo artificiale oggi esistente della produzione, ma anche la vera e propria completa distruzione di forme produttive e di prodotti, che al presente è l'immancabile compagna della produzione e che raggiunge il suo punto culminante nelle crisi [19].
Obiezione volgare sarebbe chiedere al comunismo di creare, ad esempio, mezzi di produzione ancora più efficaci di quanto non abbia fatto il capitalismo sviluppando le macchine (che esso non ha d'altronde inventate, ma elaborate e sistematizzate).
Un altro modo di produzione è soprattutto un insieme di ALTRI rapporti sociali e forme di ripartizione e di appropriazioni al fine di seguitare lo sviluppo delle forze produttive bloccate nei rapporti e nelle forme sorpassate. Il modo di produzione e di società comunista ha dunque per base e presupposto necessario la produzione capitalistica sviluppata, e, come dice Marx, implica:
1. che l'intera società si fissi un tempo di lavoro minore;
2. che l'umanità lavoratrice affronti scientificamente il processo della sua progressiva e sempre più ricca riproduzione.
In altre parole: l'uomo non farà più i lavori che può lasciar fare alle macchine, ecc., in vece sua [20].
Questo significa non che il comunismo è creazione di macchine ancora più perfezionate ed efficaci (ciò è sempre possibile, ma non sta qui il problema), ma, come dice Marx, che esso spazzerà via tutti gli ostacoli capitalistici all'introduzione delle macchine e dei processi tecnici di elaborazione sfociando nel rapporto mercantile tra lavoro necessario e sopralavoro, sicché invece di concentrare sempre più gli strumenti produttivi in pochi pochi paesi a danno degli altri e di sprecare nelle rovine di imprese soccombenti alla concorrenza il lavoro di intere generazioni accumulato negli strumenti di produzione, essi saranno armoniosamente ripartiti in tutto il mondo e la maggioranza dell'umanità non ne sarà più privata come sotto la dominazione del colonialismo e dell'imperialismo capitalista che ammassa i mezzi di produzione in alcune metropoli privilegiate.
Compito del comunismo non è dunque quello di costruire l'economia, di edificare complessi di imprese, bensì di cambiare i rapporti tra gli uomini e gli strumenti di produzione sulla base delle forze produttive già sviluppate dal proletariato mondiale e che soffocano nelle forme capitalistiche attuali, come dimostrano guerre e crisi successive di distruzione non solo di forze produttive materiali e umane, ma anche della natura e del clima. Compito primario del comunismo è dunque di sgravare le forze produttive eliminando tutte le pastoie e i pesi morti del capitalismo perché possano continuare a svilupparsi socialmente, grazie a una distribuzione non più personale e privata, cioè limitata, ma sociale e universale.
Illustriamo le trasformazioni socialiste della base economica già socialmente elaborata dal punto di vista della circolazione.
Qui la nostra concezione generale si trova appieno confermata dalle statistiche più recenti: le false spese di circolazione dovute al sopravvivere dei rapporti borghesi di distribuzione e di proprietà si fanno sempre più gravose, superando nei paesi industriali più sviluppati nel prezzo di un prodotto i costi di produzione.
L'eliminazione di queste false spese mediante l'adeguamento alla produzione sociale di una distribuzione anch'essa sociale comporterebbe una liberazione di forze produttive in duplice senso in quanto la circolazione, oltre ad utilizzare braccia sempre più numerose, inghiotte a fini improduttivi enormi ricchezze.
Come Marx sottolinea, il comunismo comincia subito con l'abolire le spese di circolazione monetaria e mercantile.
La circolazione causa dei costi, se occorre tempo di lavoro per effettuare queste operazioni, se cioè essa consuma dei valori.
Ora, ogni consumo si risolve in un consumo di tempo di lavoro vivo o materializzato in oggetti. Se insomma il tempo di circolazione costa tempo di lavoro, vi sarà riduzione o soppressione proporzionale dei valori esistenti in favore della circolazione, poiché i valori prodotti sono svalorizzati in ragione dell'ammontare dei costi di circolazione.
I costi di circolazione o di scambio non possono essere infatti che una detrazione sulla produzione globale e sui valori creati.
Se il produttore affida a una terza persona il compito di far circolare le merci, può rendere la circolazione più efficace per via della sua specializzazione e far diminuire le false spese di circolazione di un ammontare superiore ai costi della più grande divisione del lavoro. Tuttavia, con l'accrescersi della divisione del lavoro a misura di una sempre maggiore specializzazione, la circolazione diventerà più pesante [21].
Abolendo la divisione del lavoro che fa di ogni impresa e di ogni famiglia un'entità autonoma e fondendo in una sola unità o comunità umana produzione e distribuzione a una scala non più individuale ma collettiva, la circolazione avverrà in modo molto più semplice e razionale. Non solo saranno eliminate tutte le spese di circolazione commerciale e mercantile, ma verranno altresì diminuite le spese di trasporto e di immagazzinamento [22].
L'attività commerciale e soprattutto il commercio di denaro sono puri e semplici false spese di produzione del capitale nella misura in cui rappresentino le operazioni della circolazione vera e propria, come ad esempio quando servono a determinare i prezzi (misura e calcolo dei valori) o a realizzare operazioni di scambio, a titolo autonomo in seguito alla divisione del lavoro nel processo d'insieme del capitale (p. 636). Possiamo aggiungere a questa lista le false spese di pubblicità che servono ad adeguare la domanda privata alla domanda sociale per permettere la produzione del plusvalore. Nel comunismo, tutte queste operazioni verranno semplicemente eliminate, mentre le ricchezze e la manodopera che oggi sono in esse sprecate verranno trasferite nel processo di produzione generale per far diminuire le ore di lavoro.
Aggiungiamo ancora con Marx che trattasi di una circolazione puramente e semplicemente capitalistica, in quanto la circolazione propriamente detta del capitale è una circolazione da commerciante a commerciante (p. 644). Gli stessi ingegneri dedicano oggi mediamente più tempo alle operazioni amministrative di commercializzazione e di redditività che non ai problemi tecnici.
Un altro settore che verrà eliminato nel comunismo, poiché ivi avrà cessato di infierire la concorrenza con l'offerta e la domanda in quanto i prodotti saranno attribuiti agli uomini in base alle quantità prodotte secondo un piano comune e razionale stabilito in funzione dei bisogni, è quello del commercio al dettaglio, ossia gli intermediari mercantili. La circolazione da commerciante a consumatore rappresenta un secondo circuito: essa non entra direttamente nella sfera di circolazione del capitale, poiché si effettua sul mercato. È un circuito che fa seguito al processo di produzione del capitale, ma si compie poi simultaneamente con esso (ibid.).
Tuttavia Marx fa una differenza per il trasporto delle merci, la cui circolazione fa parte della sfera della produzione, poiché un articolo è finito solo allorché entra in possesso di chi lo consuma come mezzo di sussistenza o di produzione. Queste spese saranno mantenute nella misura in cui il trasporto non è legato al carattere mercantile e monetario della distribuzione.

Frattura fra base economica e sovrastrutture

Il passaggio da un modo di produzione a un altro si caratterizza, come si è ogni volta confermato, per la dissoluzione del modo sorpassato e nello stesso tempo la formazione del modo superiore che ad esso si sostituisce. Se tale dinamica, che mostra come nelle società di classe ogni progressione è dissoluzione, accrescimento della divisione del lavoro e dell'individualizzazione, è presente indubbiamente anche nel passaggio dal capitalismo al socialismo, lo è tuttavia in forma specifica, perché il socialismo si contraddistingue non per un frazionamento e una specializzazione ancora maggiori rispetto al capitalismo, ma al contrario per l'armoniosa integrazione tra condizioni di produzione e rapporti sociali [23].
Il compito del socialismo consisterà nell'armonizzare produzione e distribuzione a partire dagli elementi sociali dell'economia ereditata dal capitalismo, distruggendo i rapporti di appropriazione e di distribuzione privati che soffocano l'ulteriore sviluppo delle forze produttive (che pure il capitalismo ha già socializzato nella base economica).
Questo stato di cose determina i compiti storici del proletariato nel corso della fase di transizione al socialismo. Non si tratta dunque di scoprire forme nuove o di creare dal  nulla la produzione comunista, ma di farla partorire con la violenza [24] – secondo l'espressione di Marx nella Prefazione del Capitale – mediante una rivoluzione politica e radicale.
L'atto della rivoluzione politica, che unifica i produttori distruggendo gli attuali limiti della produzione e dell'umanità dovuti alla divisione del lavoro, è dunque fondamentale in questo processo di riappropriazione e d'integrazione caratterizzante la fase di transizione al socialismo. Questa rivoluzione politica avvia un totale capovolgimento della prassi delle società di classe, in cui sempre il movimento materiale ed economico ha preceduto la coscienza determinandola. Sulla base dell'evoluzione determinata della produzione in senso sociale, si può ormai legare la conoscenza e la coscienza al divenire umano e produttivo e prevederne il corso ulteriore organizzandolo in funzione dei bisogni umani: finalmente è l'uomo – e non più il valore monetario e mercantile – che diviene misura e campione di tutte le attività e di tutte le cose.
La coscienza diventa allora un fattore determinante dell'evoluzione, poiché produzione e società saranno organizzate e regolate non più dallo cieche leggi del denaro e del capitale, bensì secondo un piano prestabilito in comune dai produttori associati. Durante la fase di transizione al socialismo, saranno le misure politiche e sociali decretate dal proletariato al potere sotto la dittatura del proletariato ad organizzare coscientemente e razionalmente tanto la produzione quanto i rapporti sociali e il modo di appropriazione collettivo del sistema di produzione comunista.
D'ora in poi, la scienza e le conoscenze che il capitale incorporava nelle macchine e nell'organizzazione della produzione all'unico scopo di estorcere maggior plusvalore, non saranno più alienate nelle macchine inanimate di fronte a produttori incoscienti, ma serviranno alla regolazione dei rapporti tra gli uomini e tra questi e la natura. L'intervento cosciente e sistematico del proletariato nella rivoluzione anticipa in tal modo l'organizzazione dell'umanità e della produzione secondo il modo comunista, poiché la volontà e la coscienza non saranno più assoggettate alle leggi cieche del capitale e del denaro, essendo ormai un fattore determinante nel divenire dell'umanità.
Nella genesi del modo di produzione e di distribuzione comunista, le misure rivoluzionarie sono decisive allorché il proletariato dispone immediatamente della produzione socializzata, alla quale non deve far altro che applicare il modo di distribuzione socialista.
Lo stesso capitale genera, giusta Marx, la forma di produzione e di società che gli succederà. E lo fa in primo luogo autodistruggendosi! L'autovalorizzazione del capitale abolisce il capitale in luogo di riprodurlo allorché le forze produttive, introdotte dal capitale nel corso del suo sviluppo storico, hanno raggiunto un certo livello d'estensione. In secondo luogo, elaborando la base materiale del socialismo:
Per capire che gli elementi rivoluzionari, i quali elimineranno la vecchia divisione del lavoro insieme alla separazione di città e campagna, sono già contenuti in germe nelle condizioni di produzione della grande industria moderna e che il loro sviluppo viene ostacolato dal modo di produzioni capitalistico; per capir questo, bisogna conoscere il corso reale della grande industria nella sua storia passata come nella sua realtà presente, specialmente in quel paese in cui è nata e in cui ha raggiunto il suo classico sviluppo [25].
È quanto Marx ha fatto col suo lavoro sul Capitale che non è la biologia o la storia del buon funzionamento del capitale, ma la sua necrologia, la ricerca delle vie attraverso cui esso dovrà necessariamente cedere il posto alla società comunista.
Marx ha potuto così scientificamente stabilire il corso determinato dell'attuale società di classe verso il comunismo, che impone al proletariato la sua missione storica:

Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario, o anche tutto il proletariato nel suo insieme si propone temporaneamente come scopo. Ciò che conta è CHE COSA ESSO E' E CHE COSA ESSO SARÀ COSTRETTO STORICAMENTE A FARE in conformità a questo suo essere. Il suo fine e la sua azione storica gli sono tracciati in anticipo, in maniera TANGIBILE E IRREVOCABILE nella situazione della sua esistenza e in tutta l'organizzazione dell'attuale società borghese [26].

Ciò che distingue il marxismo o socialismo scientifico dall'utopismo, che sotto la pressione dei fatti materiali ha descritto istintivamente lo stadio del comunismo superiore, in cui denaro, stato, classi, mercato, valore di scambio e salariato sono aboliti, è il fatto che il marxismo dà un fondamento scientifico a questa aspirazione, tracciando il determinismo che, a partire dalle attuali condizioni capitalistiche, conduce alla società senza classi. E la Comune di Parigi ha confermato appieno questa concezione di Marx:

La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre per decreto popolare. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione e, con essa, quella forma di vita più alta alla quale TENDE IRRESISTIBILMENTE per la sua stessa struttura la società attuale, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno completamente l'ambiente e gli uomini. Essa non ha da realizzare UN IDEALE, MA SOLTANTO DA LIBERARE GLI ELEMENTI DELLA SOCIETÀ' NUOVA DEI QUALI È GRAVIDA LA VECCHIA SOCIETÀ BORGHESE CHE SPROFONDA [27] – nel corso delle crisi, ma che si rigenera, come abbiamo visto, se i proletari non hanno distrutto lo Stato e le istituzioni borghesi che ostacolano il libero sviluppo delle nuove forze produttive.
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[1] . Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 295.
[2] . Cf. in Marx, II Capitale: libro 1 capitolo sesto inedito, le due fasi storiche dello sviluppo della produzione capitalistica a) sottomissione formale del lavoro al capitale; b) sottomissione reale del lavoro al capitale o modo di produzione specificamente capitalistico.
[3] . Nel libro I del Capitale (cap. XI), Marx descrive come segue gli effetti della cooperazione: 1) essa trasforma il lavoro individuale in lavoro sociale medio; 2) dà un carattere sociale ai mezzi di lavoro; 3) combina e agglomera i lavori; 4) accorcia il tempo necessario alla produzione; 5) concentra i mezzi di produzione; 6) permette al capitale di comandare il lavoro, di sorvegliarlo con minori spese e di dirigerlo: è il modo specifico del capitale.
[4] . Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 515. I passi che seguono sono tratti sempre dai Grundrisse.
[5] . Cf. Marx, Il Capitale: libro I capitolo sesto inedito, cit., p. 91. Cf. egualmente p. 57  dove Marx ricorda:  Sviluppandosi, le forze di produzione della società o forze produttive  del lavoro, si  socializzano sempre più e diventano direttamente  sociali (collettive) mediante la cooperazione ecc.
[6] . Il primo movimento dei capitalisti è dunque di aumentare le forze produttive a spese del capitale variabile e di aumentare quindi relativamente il loro plusvalore ... fino al ribasso dei prezzi e alla corrispondente  svalorizzazione allorché il  progresso si generalizza ai concorrenti.
[7] . Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 368.
[8] . Al colmo delle crisi economiche generali scoppia la lotta politica e militare tra proletariato comunista che tende a rovesciare il capitalismo e sostituirgli il socialismo e la guerra imperialista che mira a liquidare la sovraproduzione per rigenerare il capitale. Gli stessi borghesi lo sanno, perché Marx cita a questo proposito l'economista Fullarton, che fin dalla crisi dal 1858 scriveva: "Una distruzione periodica di capitale è divenuta una condizione necessaria per l'esistenza di un qualsiasi saggio medio di profitto, e, da questo punto di vista, queste terribili calamità (crisi e guerre) che siamo abituati ad attendere con tanta inquietudine e apprensione, e che siamo tanto ansiosi di evitare, possono benissimo essere nient'altro che il correttivo naturale e necessario di un'opulenza eccessiva e gonfiata (di alcuni paesi in cui il capitale è concentrato). È la vis medicatrix, la forza grazie alla quale il nostro sistema sociale, così come attualmente è costituito, può liberarsi periodicamente di una pletora sempre ricorrente che ne minaccia l'esistenza, per riacquistare uno stato sano e solido". In queste condizioni, conclude Marx: "Le distruzioni violente di capitale, non in seguito a condizioni esterne al suo sistema, ma a quelle della sua autoconservazione, sono la forma più incisiva in cui si notifica il suo fallimento e la necessità di far posto a un modo di produzione superiore, e di sparire.
Queste contraddizioni della produzione conducono a esplosioni, cataclismi e crisi in cui un momentaneo arresto di ogni lavoro e la DISTRUZIONE DI UNA GRAN PARTE DEL CAPITALE lo riconducono violentemente a un livello da cui potrà riprendere il suo corso. Queste contraddizioni conducono a esplosioni, crisi, nelle quali la momentanea soppressione di ogni lavoro e la DISTRUZIONE DI UNA GRAN PARTE DEL CAPITALE lo riconducono violentemente al punto in cui, senza suicidarsi, è in grado di impiegare di nuovo appieno la sua forza produttiva" (cf. Grundrisse, cit., p. 891 e 769-770).
[9] Cf. Marx, Il Capitale: libro I capitolo sesto inedito, cit, p. 72.
[10] . Dato che il capitalista continuerebbe indefinitamente a produrre oggetti se il saggio di plusvalore aumentasse sempre, il che porterebbe a una montagna di merci inconsumabili, solo la legge interna del capitale della caduta del saggio di profitto, arrestando la produzione, evita al capitalista di soffocare.
[11] . Spieghiamo qui lo schema classico, della crisi del capitalismo "sano" senza soffermarci a descrivere come il capitalismo senile aggirando le sue leggi e drogando la sua economia, aggravi ulteriormente la crisi di putrefazione che lo colpisce. Rinviamo il lettore per il confronto della teoria delle crisi di Marx e dell'attuale crisi storica a "la Crisi storica, ecc." cit, 107, cf. in particolare il capitolo "Il sottoconsumo e l'arte dpi profitti".
[12] . Cf. Marx, Il Capitale III, cap. VI, 1.
[13] . Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 384.
[14] . Cf. Marx, Cf. Marx, Il Capitale III, cap. XV, 4.
[15] . Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 711.
[16] . Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 716.
[17] . Tuttavia il capitale secerne all'altro polo gli ostacoli a questo sviluppo al fine di contenerlo in una forma capitalistica, di modo che entra in crisi acuta e gira a vuoto. In realtà, questa transcrescenza può compiersi solo allorché i rapporti capitalistici fondamentali saranno Stati eliminati in generale dalla rivoluzione politica del proletariato, che spezza i rapporti di distribuzione e le sovrastrutture paralizzanti. >
Nel III libro del Capitale, Marx considera altri esempi di ciò che chiamiamo qui transcrescenze e che egli stesso definisce in modo meno immaginoso e più scientifico come "abolizioni del modo di produzione capitalistico che si operano ancora nel quadro del modo di produzione capitalistico, ossia contraddizioni che si autoaboliscono e rappresentano manifestamente dei semplici punti di transizione verso una nuova forma di produzione" – e cita le società per azioni e il credito a proposito dell'utopista Saint-Simon.
[18] . Cf. i capitoli su Lavoro produttivo e improduttivo nel VI capitolo inedito del Capitale, e nel IV libro del Capitale (Teorie sul plusvalore). I sindacati avranno un ruolo importante nel processo di appropriazione dello sviluppo intellettuale della società a profitto delle masse nella produzione. Come scriveva Lenin commentando i Manoscritti parigini di Marx in cui è trattata la questione dello sviluppo onnilaterale di tutti gli individui nel comunismo, i sindacati saranno il mezzo di trasformazione dell'economia e degli uomini al momento del passaggio dall'appropriazione privata all'appropriazione generale: "Con la mediazione di questi sindacati di industria, si sopprimerà più tardi la divisione del lavoro (dunque in classi) tra gli uomini, e si passerà all'educazione, istruzione e formazione (nella società e nella produzione, e non più nelle scuole specializzate) di uomini universalmente sviluppati, universalmente preparati e IN GRADO DI FARE TUTTO". Cf. L'estremismo malattia infantile del comunismo, cap. VI, Devono i rivoluzionari lavorare nei sindacati reazionari? Il ruolo dei sindacati nell'abolizione del salariato e dell'idiotismo di mestiere è trattato alle pag. 51-61 e 82-85 del nostro precedente testo: Critica della corrotta prassi dei sindacati, vol. II, che raccoglie numerosi testi di Marx-Engels sul Sindacalismo, in parte inediti in italiano.
[19] . Cf. Engels, AntiDühring, sez. III, 2, Elementi teorici del socialismo.
[20] . Cf. Marx, Grundrisse, cit, p. 278.
[21] . Cf.   Marx,  Grundrisse,  cit,  p.   635. Il capitale impiegato nelle false spese di circolazione è sottratto alla produzione, il cui allargamento è ridotto d'altrettanto.
[22] . Nel suo Discorso d'Elberfeld, Engels dimostra che il mercantilismo non solo esige una circolazione monetaria e mercantile che non ha niente a che vedere con il valore d'uso e con l'utilità del produttore o consumatore, e che può essere dunque puramente e semplicemente eliminata nel comunismo, negazione del denaro, dei valore di scambio e del mercato, ma anche che esso comporta trasporti inutili che obbediscono a moventi d'interesse monetari e speculativi. Dimostra, inoltre, che la distribuzione degli uomini in comunità umane, che si sostituiranno alle piccole unità familiari e alla divisione fra mostruose città e barbari villaggi, semplificherà al massimo la circolazione anche dei prodotti e degli uomini così come la loro attività.
[23] . Cf. Marx-Engels, La Critique de l'Education et de l'enseignement, Ed. Maspéro, Parigi 1976, p. 5-46.
[24] . Il lettore potrà trovare nella raccolta di Marx-Engels sulla Società comunista (Ed. Maspéro) i testi originali del marxismo sul socialismo. Ci limitiamo qui a menzionare alcuni problemi, come ad es. la svalorizzazione del capitale, che, nella stessa raccolta è sviluppata più ampiamente ai capitoli: Svalorizzazione nella circolazione e tramite il macchinismo; Svalorizzazione del capitale e sviluppo delle forze produttive; Svalorizzazione della terra e dei mezzi di sussistenza e svalorizzazione della forza lavoro. Così, l'abolizione del denaro sopprimerà la perdita di ricchezza implicata dal capitalismo che deve   produrre   il   denaro   per   rappresentare duplicemente  il valore  delle merci. Il comunismo sopprimerà la svalorizzazione e la fonte delle crisi legate al fatto che, nel processo di circolazione del capitale (che  ingloba il mercato, indi il processo di produzione, poi di nuovo il mercato, ecc.), la merce prodotta deve trasformarsi in denaro che acquista in seguito le merci (materie prime, strumenti e forze di lavoro) necessarie al nuovo ciclo di produzione. Questo determina la specificità della circolazione e della produzione sotto l'economia mercantile del capitale e provoca, per ciò solo, considerevoli false spese, e addirittura la possibilità per il capitale prodotto di svalorizzarsi completamente, se ad es. non trova compratori sul mercato, o se deve attendere un certo lasso di tempo prima di poter iniziare un nuovo ciclo di produzione, lasso di tempo durante il quale del capitale produttivo viene a trovarsi inutilizzato.
[25] . Cf. Engels, Anti-Dühring, sez. III, 3 fine.
[26] . Cf. Marx-Engels, La sacra famiglia, cap. IV, 4, Glossa marginale critica n. 2.
[27] . Cf. Marx, La guerra civile in Francia, 1871, cap. III.

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